
Tragedia a Molfetta: Premessa
Tra condanne, assoluzioni, e processi da rifare, non è ancora stata scritta l’ultima parola sulla tragedia di undici anni fa a Molfetta, dove morirono 5 persone alla Truck Center, l’autorimessaggio di Molfetta dove il 3 marzo 2008, per le forti esalazioni di acido solfidrico sprigionatesi da una cisterna di acido solfidrico che dovevano bonificare. Con IngegnoSi cercheremo capire la strana dinamica giudiziaria conclusasi con nessuna risoluzione processuale e proveremo a comprendere le responsabilità di questa tragedia e a chi dovevano essere attribuite.
In tale ambiente confinato persero la vita 4 operai ed il titolare Vincenzo Altomare, di 64 anni, amministratore della stessa Truck Center; unico superstite. I processi hanno accertato che si trattò di un’intossicazione acuta da acido solfidrico a provocare la morte dei lavoratori che si calarono nella cisterna l’uno per salvare l’altro.
1. Il primo processo
La sentenza di primo grado del 6 ottobre 2009 ha accertato le principali responsabilità connesse alla tragedia del 2008.
Concorso in omicidio colposo plurimo e lesioni colpose gravi con violazione delle norme di prevenzione infortuni (artt. 589 e 590 del codice penale), questi i reati per cui sono stati ritenuti responsabili e condannati a 4 anni di reclusione, a fronte dei 5 chiesti dal pm, ai responsabili della Fs Logistica-B.U. Cargo Chemical Spa (società del gruppo Ferrovie dello Stato) proprietaria del container di zolfo in rimessaggio alla Truck Center.
I tre sono stati anche interdetti per 5 anni «dall’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione di documenti societari nonché di ogni altro ufficio con potere di rappresentanza di persone giuridiche».
Condanne a pene pecuniarie correlate alla colpa organizzativa di cui al D.Lgs. 231/01 (responsabilità amministrativa dell’ente) per le 3 società imputate: 1 milione e 400mila euro per la Fs Logistics; 400mila ciascuno per la Cinque Bio Trans e la Truck Center Sas.
Nel processo per la tragedia a Molfetta si erano costituiti parte civile i famigliari delle vittime e l’Inail.
Due i punti cruciali: la composizione chimica dello zolfo trasportato e il rispetto, o meno, delle normative di sicurezza, per Eni Spa che ha prodotto lo zolfo, e per la Nuova Solmine, azienda chimica in provincia di Grosseto che lo utilizza per produrre acido solforico per le ipotesi di reato di trasporto di merci pericolose, smaltimento e immissioni di rifiuti pericolosi e violazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il giudice del primo processo ha inoltre disposto il dissequestro dei documenti fatti sequestrare dalla Procura in vari stabilimenti Eni in Italia e il pagamento di provvisionali, da 150.000 a 300.000 euro, in favore di genitori, mogli e fratelli delle vittime conviventi delle vittime costituiti parti civili.
I tre imputati condannati, inoltre, dovranno liquidare 50.000 euro ciascuno ai figli di Vincenzo Altomare. Ulteriori somme risarcitorie saranno quantificate dal giudice civile, dove pure saranno determinati i danni patiti dai parenti non conviventi.
Il processo di primo grado è stata dunque un’ecatombe giudiziaria da cui si è salvato solo Filippo Abbinante, l’autista dipendente de La Cinque Bio Trans che quel drammatico lunedì pomeriggio trasportò la cisterna assassina a Molfetta per la pulitura: il PM aveva invocato l’assoluzione. Tesi accolta dalla sentenza.
È questo solo il primo esito processuale della vicenda del Truck Center di Molfetta – emessa dal Tribunale di Trani – che, incredibilmente (ed esclusivamente grazie all’efficienza estrema del magistrato giudicante), arriva solo a poco più di un anno e mezzo dalla tragedia avvenuta nell’omonima ditta di lavaggio industriale in cui le esalazioni di acido solfidrico uccisero Vincenzo Altomare, Luigi Farinola, Biagio Sciancalepore, Guglielmo Mangano e Michele Tasca.
Il dibattimento si era aperto il 28 marzo 2009 con una sola certezza: era stato l’acido solfidrico o idrogeno solforato (H2S) presente nella cisterna giunta nella zona per la bonifica a causare i decessi.
Sul banco degli imputati per omicidio colposo plurimo aggravato dalla violazione delle norme di prevenzione infortuni, ai sensi dell’articolo 589 del codice penale, comma 2, si sono seduti in cinque: Mario Castaldo (rappresentante legale di Fs Logistica), Alessandro Buonopane (responsabile trasferimento zolfo di Fs Logistica), Pasquale Campanile (committente del trasporto della cisterna e Dirigente de La Cinque Biotrans), poi condannati, e Filippo Abbinante (autista de La Cinque Biotrans che ha condotto la cisterna da Bari a Molfetta).
Imputate per responsabilità amministrativa, e poi condannate, la stessa Truck Center, la Fs Logistica e La Cinque Biotrans.
Nella seconda udienza vi era stata la testimonianza dell’unico superstite, Cosimo Ventrella, il quale ha dichiarato che già alle 15.30, mezz’ora prima della tragedia, all’interno dell’autorimessa fortissimo era l’odore di zolfo, probabile indizio dell’apertura del portellone della cisterna-killer.
L’indagine al Truck Center di Molfetta
L’indagine ha messo in luce gravissime carenze per quel che riguarda le condizioni di sicurezza sul lavoro e la formazione (omessa) degli operai. Gli interrogativi si addensano anche sulla composizione chimica del contenuto della cisterna-killer. A livello industriale il metodo più efficiente per produrre lo zolfo sfrutta l’acido solfidrico, uno scarto della lavorazione del petrolio, trasformato in zolfo liquido (con eliminazione di acqua) e immagazzinato per il trasporto in cisterne.
Una certa percentuale di acido è inevitabile in un carico di zolfo, ma non può superare precisi limiti, il cui rispetto è un’obbligo fondamentale di natura tecnica a tutela della sicurezza degli operatori. Sarà proprio la questione della composizione chimica dell’atmosfera della cisterna killer a costituire uno degli elementi principali dell’intero procedimento.
Emerge successivamente un secondo elemento fondante la responsabilità poi accertata in giudizio: si tratta della scheda di sicurezza dei prodotti pericolosi prevista dalle direttive comunitarie e dalla legislazione italiana, la “scheda a sedici punti”, che avrebbe dovuto indicare la pericolosità del prodotto trasportato e che l’Eni avrebbe dovuto rilasciare o avrebbe rilasciato ai conducenti. Di detta scheda non si è mai trovata traccia nella ditta di Molfetta Truck Center.

L’unica certezza è rappresentata dalle procedure di sicurezza. Modificate dopo il marzo 2008, giorno del dramma. La domanda spontanea è quindi: se erano inadeguate, perché sono state modificate solo dopo la tragedia?
Su questi punti i testimoni non riescono a fornire risposte chiare e convincenti al giudice che procede all’escussione, e per tale motivo le loro deposizioni sono state trasmesse alla procura per una eventuale incriminazione per falsa testimonianza.
L’attenzione del magistrato si sofferma anche sulla costruzione nel petrolchimico tarantino, proprio in concomitanza delle contestazioni processuali per la strage, di un nuovo impianto per la produzione di zolfo stavolta allo stato solido, sottoforma di perline, per evitare la presenza di acido solfidrico.
La sentenza del 26 ottobre 2009 del Tribunale di Trani – giudice monocratico Lorenzo Gadaleta – accoglie in pieno l’impianto accusatorio del pubblico ministero Giuseppe Maralfa, anche in ordine al successivo secondo processo «Truck Center Bis».
Alla sentenza è seguito da un lato l’appello preannunciato dai difensori dei condannati, ma anche ulteriori aspetti d’indagine ravvisati dal Tribunale e che il pm aveva già in serbo per far luce anche sulle posizioni, e dunque su presunte responsabilità, dell’Eni Spa e della Nuova Solmine Spa, rispettivamente produttrice ed acquirente della fatale partita di zolfo, nonché della società bitontina Meleam Puglia che curò il protocollo di sicurezza della Truck Center.
2. Il secondo processo (sentenza del Tribunale di Trani del 11.07.2014)
Secondo il pm gli altri responsabili, oltre quelli del primo processo, sono da individuare nella Nuova Solmine di Scarlino, in provincia di Grosseto, dove il carico fu acquistato, e nella società barese Meleam consulente per la sicurezza della Truck center.
Dalla Nuova Solmine non si sarebbero attivati perché dopo lo scarico la cisterna fosse adeguatamente bonificata. E infine il rappresentante legale della Meleam Puglia, incaricato dalla ditta di procedere alla valutazione dei rischi derivanti dalle attività svolte dalla società di Molfetta, avrebbe redatto un documento di valutazione del rischio “assolutamente generico”.
Il Tribunale ha invece assolto la società Meleam S.p.A. di Bitonto, che certificò l’impianto Truck Center, e che forniva consulenza in materia di sicurezza sul lavoro alla Truck Centers S.a.S. e il suo rappresentante legale, Pasquale Bacco, per non aver commesso il fatto.
3. Il terzo processo (2011)
Nel novembre 2011 tutti i sette imputati dell’Eni, e la società stessa, in quanto produttrice dello zolfo liquido trasportato nella cisterna, erano stati assolti in via definitiva con rito abbreviato in un terzo processo.
Tre anni e quattro mesi per i sette dipendenti dell’Eni, 1 milione e 120mila euro a carico del colosso energetico: sono queste le pene che erano state richieste dal Dott. Giuseppe Maralfa, pubblico ministero nel terzo processo Truck center, al giudice per l’udienza preliminare Maria Grazia Caserta.
Nella ricostruzione dei fatti contenuta nelle oltre 170 pagine prodotte dal pubblico ministero Maralfa, l’accusa ha ripercorso l’accaduto dal 3 marzo 2008 alla sentenza di primo grado.
Una requisitoria di oltre tre ore, con continui rimandi alle normative di sicurezza e all’enorme mole di dati già dibattuti nel processo principale.
Per il titolare delle indagini ENI non avrebbe fornito esatte informazioni sulle caratteristiche dello zolfo liquido trasportato nella cisterna, con riferimento alla presenza di acido solfidrico, le cui esalazioni uccisero le cinque vittime della tragedia.

Ma la giudicante ha deciso per una sentenza di assoluzione dei 7 alti dirigenti Eni e della società Eni S.p.A. nel terzo processo Truck Center. Processo nato dalla restituzione degli atti al termine del primo procedimento per la strage in cui il 3 marzo 2008 .
Nell’udienza del 29 novembre 2011 gli avvocati dell’Eni avevano contestato punto per punto tutta la requisitoria del PM dott. Giuseppe Maralfa (quella dell’8 novembre scorso), con cui era stata ricostruita minuziosamente tutta la vicenda, oltre a individuare le presunte pesanti responsabilità in capo all’Eni e ai suoi alti dirigenti. Da quella ricostruzione emergevano circostanze da cui si evinceva – secondo quanto affermato in quell’udienza dal PM – la responsabilità diretta di Eni S.p.A., condotte “colpose” consistite nelle omesse comunicazioni e informazioni, che determinarono quel tragico concorso di cause e la successiva della dolorosa vicenda.
Di contrario avviso è stato invece il GUP del Tribunale di Trani, Maria Grazia Caserta, che ha assolto gli imputati e quindi accolto il 5 dicembre 2011 tutti i motivi dedotti nelle arringhe difensive nella sentenza che conclude il processo con rito abbreviato, in cui erano costituiti parte civile due familiari delle vittime, il Comune di Molfetta e la Regione Puglia nei confronti dell’Eni e dei suoi alti dirigenti.
L’assoluzione di l’Eni Spa e di sette suoi dipendenti dall’accusa di omicidio colposo e lesioni colpose in relazione alla tragedia della Truck Center di Molfetta del 3 marzo 2008 è stata motivata “perché il fatto non sussiste”, ai sensi del 2° comma dell’art. 530 del Codice di procedura penale.
4. Il processo d’appello e le clamorose assoluzioni (sentenza Corte di Appello di Bari in data 19.07.2017)
Ribaltata in appello la sentenza di primo grado: assolti o prosciolti per prescrizione tutti gli imputati.
Nel 2017 si è chiuso con una sentenza di assoluzione e proscioglimento per intervenuta prescrizione il processo di appello a Bari per la tragedia del Truck Center Sas, l’impianto di lavaggio di cisterne industriali, dove il 3 marzo del 2008 trovarono la morte per intossicazione acuta da acido solfidrico tre operai dipendenti dell’impresa, un autotrasportatore accorso in loro aiuto ed il datore di lavoro degli operai intervenuto in soccorso. Uno dopo l’altro, scivolarono nella ferro-cisterna intossicati dall’inalazione di acido solfidrico.
La sentenza d’Appello del luglio 2017 ha ribaltato gli esiti del primo grado, con l’unica eccezione della stessa società Truck Center, il cui unico socio accomandatario e rappresentante legale è una delle cinque persone decedute per intossicazione da acido solfidrico. Non è stato oggetto del giudizio il ruolo dell’Eni, che consentì all’origine l’uscita del carico con presenza dell’acido solfidrico dal suo stabilimento.
Un caso clamoroso, ma non raro, di esternalizzazione “allegra” di attività superspecializzate a piccole società inidonee come la Truck Center di Molfetta, addetta sì al lavaggio delle cisterne di trasporto industriale e materiale vario, ma non di cisterne che sostengono sostanze chimiche letali.
L’Eni, secondo il pubblico ministero del primo processo di cui alla sentenza dell’ottobre 2009, aveva violato clamorosamente i “dettami della buona ingegneria industriale, consentendo l’uscita dai propri stabilimenti di partite di zolfo liquido con alte concentrazioni di acido solfidrico, caricate nelle cisterne senza precauzioni di sorta in raffineria”. Sempre l’Eni, secondo il PM, aveva omesso di segnalare debitamente ai trasportatori, nei documenti rilasciati, l’effettiva consistenza delle sostanze prodotte e caricate, omettendo di evidenziarne la pericolosità ed i rischi correlati.
In definitiva, un altro caso di rimpallo di responsabilità, favorito da un regime di appalti ed esternalizzazioni, in cui l’obiettivo primario di riduzione dei costi contrasta con la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori esposti ad elevati rischi sul proprio posto di lavoro. Una dinamica non nuova in Puglia, in cui l’esemplare caso dell’Ilva di Taranto ha esasperato la contraddizione fra accumulazione di profitto correlata al contenimento dei costi e tutela dell’integrità e della salute dei lavoratori e dei cittadini dell’area interessata.