L’attuale quadro di obblighi
Come noto, la vigilanza sul preposto spetta ai dirigenti e datori di lavoro come “compito non esclusivo ma sussidiario, spettando anzitutto al datore di lavoro e ai dirigenti” . In questo contenuto noi di IngegnoSi vedremo come funziona la vigilanza sul datore di lavoro attenendoci da sentenze della Corte di Cassazione e al d.lgs 81/2008.
La legge pone infatti in capo al datore di lavoro e al dirigente l’obbligo penalmente sanzionato di “richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione” (art.18 c.1 lett.f) D.Lgs.81/08).
Fatta tale premessa, il punto di partenza dal quale prendere le mosse in materia di vigilanza, da tempo messo in luce dalla giurisprudenza, è che il datore di lavoro e i dirigenti “in ogni caso, quando non sia possibile assistere direttamente a tutti i lavori, devono organizzare la produzione con una ulteriore distribuzione di compiti tra i dipendenti in misura tale da impedire la violazione della normativa” .
Così, una volta che abbiano provveduto a incaricare un numero di preposti idoneo e a far sì che questi ultimi ricevano la formazione prevista dalla legge, datore di lavoro e dirigente devono effettuare la vigilanza sul preposto – in virtù di tale posizione di garanzia hanno gli obblighi penalmente sanzionati previsti dall’art.19 T.U. – vigilino correttamente e non tollerino prassi disapplicative.
La Cassazione è chiara sulla vigilanza sul preposto. Aspetto costantemente ribadito nelle sentenze.
Guardando ai pronunciamenti più recenti, ad esempio, una sentenza di questo mese (Cass.Pen., Sez.IV, 8 giugno 2018 n.26294) ricorda che “il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi “contro legge”, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme.

Analogamente e in maniera ancora più specifica, poi, qualche anno fa la Cassazione Penale in merito alla vigilanza sul preposto sottolineava che “qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa sul posto di lavoro si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, il datore di lavoro o il dirigente, non può utilmente scagionarsi assumendo di non essere stato a conoscenza della illegittima prassi, tale ignoranza infatti, costituisce di per sé, in colpa per denunciare l’inosservanza al dovere di vigilare sul comportamento del preposto”.
Non dimentichiamo infatti che “il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli ….. ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”.
Il che significa che, allorché il preposto tolleri prassi disapplicative e in conseguenza di ciò si verifichi un infortunio, datore di lavoro e dirigente potranno essere anch’essi responsabili dell’evento allorché non abbiano effettuato un’adeguata vigilanza in ordine all’adempimento dell’obbligo posto in capo al preposto di sovrintendere e vigilare ai sensi dell’art.19 c.1 lett.a) D.Lgs.81/08.
La vigilanza sul preposto: Un esempio per tutti
Con la sentenza Cassazione Penale, Sez.IV, 27 agosto 2014 n.36227, la Corte ha condannato per lesioni colpose gravissime a seguito di un infortunio, oltre al datore di lavoro, “il Br.Ro. che, quale responsabile della produzione e dello stabilimento, doveva garantire e vigilare sul rispetto delle norme di prevenzione infortuni; B.A. che, in qualità di preposto-capo reparto, avrebbe dovuto garantire la sicurezza delle operazioni di lavoro e pretendere il rispetto delle norme di sicurezza, senza avallare rischiose prassi di lavoro.”
In particolare, in questo caso, “dall’istruttoria svolta è emerso che dette regole non erano scritte, ma si tramandavano oralmente tra gli operai, con l’avallo del caporeparto B.”
Dunque – sottolinea la Corte – “la prima condizione di pericolo creata dagli imputati è stata quella di avere avallato ed anzi previsto, contrariamente ad esplicite norme di sicurezza e regole di prudenza, che le operazioni di pulizia dei rulli avvenissero a macchinario in movimento.”
Con riferimento alle responsabilità del dirigente Br.Ro. e del preposto B.A., la sentenza conclude che “Br.Ro., dirigente al settore produzione, pur presente costantemente in stabilimento, non ha corretto le pericolose prassi relative alla pulizia dei rulli ed in ogni caso, come dirigente, ha omesso la dovuta vigilanza;
il B., capo reparto (preposto), ha consentito, avallato ed ordinato che la pulizia avvenisse con le pericolose modalità che sono state causa del grave incidente.”

Al fine di effettuare la vigilanza sul preposto in modo congruo potranno dunque essere ritenuti dal datore di lavoro e dal dirigente “adeguati allo scopo”, ad esempio – la richiesta di report da parte dei preposti, sopralluoghi, strumenti gestionali atti a far emergere eventuali prassi disapplicative nonché l’eventuale tolleranza delle stesse da parte di chi avrebbe l’obbligo di rimuoverle, azioni correttive di tale inerzia etc.
La scelta delle modalità più efficaci e appropriate per effettuare la vigilanza sul preposto, ovviamente nella cornice di quanto previsto e consentito dalla legge, rientra nelle prerogative gestionali e organizzative del datore di lavoro e del dirigente.