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Sicurezza e salute

Lavoro e disabilità: come devono comportarsi le aziende con le misure di accomodamento ragionevole?

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lavoro e disabilità

L’obbligo giuridico del datore di lavoro a seguito del recepimento della Direttiva 2000/78/CE

In questo contenuto con IngegnoSi scopriremo cosa sono le misure di accomodamento ragionevole e quando vanno applicate rispondendo alla domanda se è corretto o meno licenziare un lavoratore disabile basandoci sulla sentenza della Suprema Corte.

In tema lavoro e disabilità la sentenza della Corte di Giustizia CE 4 luglio 2013 (C-312/11) ha condannato l’Italia a recepire l’art.5 della Direttiva 2000/78/CE imponendo “a tutti i datori di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i disabili” nonché “misure appropriate, ossia misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento.»

Secondo la Corte di Giustizia, non era sufficiente a tale scopo la presenza nell’ordinamento giuridico italiano di allora della Legge n.68/99 (avente – secondo la Corte – “lo scopo esclusivo di favorire l’accesso all’impiego di taluni disabili”) e del D.Lgs.81/08 che – precisa la sentenza – “disciplina solo un aspetto dei provvedimenti appropriati richiesti dall’articolo 5 della direttiva 2000/78, cioè l’adeguamento delle mansioni alla disabilità dell’interessato.”

Per quel che concerne il lavoro e disabilità era dunque necessario un intervento normativo da parte dello Stato italiano.

E’ stato così che l’Italia ha provveduto a suo tempo ad inserire nel D.Lgs.9 luglio 2003 n.216 il seguente obbligo giuridico in materia lavoro e disabilità:

“Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevolicome definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n.18 nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. I datori di lavoro pubblici devono provvedere all’attuazione del presente comma senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente” (art.3 c.3-bis).

I datori di lavoro sono dunque obbligati ad adottare accomodamenti ragionevoli secondo quanto previsto dalla citata Convenzione delle Nazioni Unite: vediamone dunque in sintesi l’ambito applicativo ed i principali contenuti e criteri in materia di accomodamento ragionevole.   

Le modifiche e gli adattamenti dell’ambiente di lavoro che non impongono un carico sproporzionato o eccessivo: la Convenzione ONU

Come accennato sopra, con la Legge 3 marzo 2009 n.18, l’Italia ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (Convenzione di New York del 13 dicembre 2006), a tenore della quale “l’accomodamento ragionevole indica le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali” (art.2).

In tema lavoro e disabilità è opportuno ricordare che la definizione di “accomodamento ragionevole” è sostanzialmente recepita dalla norma di diritto interno che pone il relativo obbligo giuridico in capo al datore di lavoro (art.3 c.3-bis D.Lgs.216/2003).

lavoro e disabilità

La Convenzione specifica che “le persone con disabilità includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri” (art.1 c.2).

La “discriminazione sulla base della disabilità” – secondo la definizione che ne viene fornita dall’articolo 2 – “include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole”.

Dunque l’eventuale rifiuto di accomodamento ragionevole da parte del datore di lavoro costituisce discriminazione.

La Convenzione ONU prevede chiaramente che gli Stati Parti debbano “assicurare che accomodamenti ragionevoli siano forniti alle persone con disabilità nei luoghi di lavoro” (art.27 c.1 lett.i).  

La Cassazione sottolinea inoltre che “la Corte di Giustizia europea […] ha rilevato che l’art.5 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che la riduzione dell’orario di lavoro può costituire uno dei provvedimenti di adattamento di cui a tale articolo, competendo al giudice nazionale valutare se la riduzione dell’orario di lavoro rappresenti un onere sproporzionato per il datore di lavoro.”

Va anche ricordato, sul piano del diritto interno, che in materia di lavoro e disabilità il D.Lgs.151/2015 (art.11) attuativo del c.d. Jobs Act, modificando l’art.14 della Legge 68/99 (“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”), ha previsto “contributi per il rimborso forfetario parziale delle spese necessarie all’adozione di accomodamenti ragionevoli in favore dei lavoratori con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50 per cento, incluso l’apprestamento di tecnologie di telelavoro o la rimozione delle barriere architettoniche che limitano in qualsiasi modo l’integrazione lavorativa della persona con disabilità, nonché per istituire il responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro.”

Lavoro e disabilità in caso di sopravvenuta inidoneità del lavoratore disabile. Come funzionano gli accomodamenti ragionevoli in giurisprudenza?

Con la sentenza 24 febbraio 2016 il Tribunale di Pisa ha stabilito che nel caso dell’art.42 del D.Lgs.81/2008 in materia di lavoro e disabilità “l’adibizione a mansioni equivalenti o in mancanza inferiori […] costituisce soltanto uno dei ragionevoli adattamenti rientranti nell’obbligo generale imposto dall’art.3 comma 3bis del dlgs 216/2003.

Non è quindi sufficiente che il datore di lavoro dimostri di non poter reperire una mansione equivalente o inferiore, all’interno della organizzazione aziendale, ma dovrà dimostrare che gli adattamenti, anche di natura organizzativa, che sarebbero nella specie effettivamente necessari per consentire la ricollocazione del lavoratore divenuto inidoneo alla specifica mansione, gli imporrebbero la sopportazione di un onere finanziario irragionevole, vale a dire sproporzionato nel senso precisato dall’art.5 della Direttiva 2000/78.”

Il Tribunale aggiunge che “la prova della impraticabilità degli adattamenti necessari, ovvero della loro irragionevolezza e sproporzione finanziaria dovrà essere fornita dal datore di lavoro in termini concreti e rigorosi, tenendo quindi conto di tutte le soluzioni disponibili, quali la redistribuzione delle mansioni, il cambiamento dei turni, la riduzione o rimodulazione dell’orario di lavoro, nonché gli interventi di carattere materiale, come il riallestimento della postazione lavorativa.”

Cassazione Civile, 26 ottobre 2018 n.27243, pronunciandosi su un caso di “accertata sopravvenuta inidoneità del lavoratore [divenuto ipovedente, n.d.r.] alle mansioni assegnate di addetto al preconfezionamento e dell’assoluta impossibilità di ricollocamento nei reparti produttivi […] ha ritenuto legittimo il licenziamento in considerazione dell’insussistenza di un obbligo del datore di lavoro di licenziare altro lavoratore al fine di liberare la posizione lavorativa compatibile o di creare ex novo un posto di lavoro ritagliato sulle residue capacità lavorative del dipendente.”

E ancora, “più recentemente, questa Corte (Cass.n.6798 del 2018) – con specifico riferimento all’art.3, comma 3 bis, del d.lgs.n.216 del 2003 – ha […] ritenuto appropriate e non eccessivamente sproporzionate le misure datoriali concernenti l’assegnazione di una determinata postazione di lavoro del lavoratore disabile e l’adozione di alcuni accorgimenti organizzativi (nella specie, svolgimento delle mansioni di saldatore nell’ambiente officina, piuttosto che nella cementeria, e spolveramento delle parti meccaniche provenienti dallo stabilimento di produzione, con ricovero presso zona dedicata).”

accomodamenti ragionevoli

Deve, pertanto, escludersi che le suddette misure organizzative possano incidere negativamente sulle mansioni e sulle altre condizioni di lavoro degli altri lavoratori (ad esempio, ambiente e luogo di lavoro, orario e tempi di lavoro).”

Licenziamento del lavoratore disabile obbligatoriamente assunto e giudizio di inidoneità del Medico Competente: è necessario l’accertamento della Commissione medica integrata (L.104/92)

La Suprema Corte, pronunciandosi sempre in tema lavoro e disabilità, con la sentenza Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 aprile 2017 n.10576, ha stabilito che “il datore di lavoro, ove non ritenga di poter adibire il disabile, giudicato inidoneo alla mansione specifica dal medico competente, a mansioni equivalenti ovvero anche inferiori, dovrà chiedere alla commissione integrata di cui alla L. n.104 del 1992, che “vengano accertate le condizioni di salute del disabile per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda”, come stabilito dall’art.10, comma 3, L.n.68 del 1999.”

La Corte ha anche precisato che “analogo percorso potrà essere seguito dal disabile, anche a prescindere dal ricorso avverso i giudizi del medico competente previsto dall’art.41, co.9, d.lgs. n.81 del 2008, chiedendo “che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute” a mente del medesimo comma 3 dell’art. 10 della l.n.68 del 1999.

Il datore di lavoro non può, invece, […] procedere al licenziamento del disabile sulla scorta del solo giudizio di inidoneità alla mansione specifica espresso dal medico competente, senza attivare la procedura prescritta dalla disposizione da ultimo citata.”

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