Questa interessante sentenza del Marzo 2019 chiarisce relativamente al caso specifico la corretta posizione contrattuale del RSPP all’interno dell’organigramma aziendale.
Analisi della natura e della finalità dell’attività svolta dall’RSPP
Anzitutto la Corte premette che “il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) assume una responsabilità personale diretta anche di rango penale e, seppure svolga un ruolo non operativo ma di consulenza, a lui compete l’obbligo giuridico di collaborare con datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere quale garante degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione di tali doveri di supporto informativo, valutativo e programmatico.”
Quanto alla finalizzazione dell’attività dell’RSPP in relazione alla valutazione dei rischi, la sentenza precisa che “dal punto di vista contenutistico, inoltre, il documento di valutazione dei rischi (DVR) costituisce un esempio scolastico di “studio di ricerca, di progettazione e pianificazione”, dovendo contenere tutte le indicazioni necessarie all’adozione delle misure di sicurezza in un ambito di prescrizioni di massima; l’esistenza di una fitta rete di normative, spesso di difficile comprensione, comporta un’attività ampiamente discrezionale di studio e di adattamento della previsione astratta alla realtà concreta dell’unità operativa cui il RSPP è addetto.”
Dunque è chiaro alla Cassazione che “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro” e che, nel caso di specie sottoposto all’attenzione della Corte, “l’attività di consulenza non è contemplata nella declaratoria del livello D (tecnici specializzati), che riguarda i lavoratori che espletano, “con margini di autonomia discrezionalità nell’ambito di procedure ed istruzioni ricevute”, attività richiedenti un “elevato livello di conoscenza nonché professionalità e competenze tecniche, specialistiche, commerciali e o gestionali o che hanno un contenuto professionale di maggior rilievo, finalizzate alla realizzazione di processi produttivi…”.
Lo svolgimento di attività di consulenza è invece, secondo la Cassazione, “agevolmente alla declaratoria livello B – Quadri, figura “professional”, corrispondente al lavoratore che, sulla base di direttive aziendali e con la necessaria conoscenza ed esperienza in uno dei settori in cui si articola l’attività produttiva dell’azienda, realizza “studi di ricerca, di progettazione o di pianificazione operativa finalizzati al conseguimento degli obiettivi aziendali, anche attraverso l’utilizzo di sistemi e metodologie innovative…”.”
E pertanto “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all’occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Cass., Sezioni Unite penali, sent. n. 38343 del 2014).”
La rivendicazione contrattuale
Entrando nello specifico della rivendicazione contrattuale, la pronuncia chiarisce che “dopo avere esaminato la declaratoria di qualifica professionale (ora livello B), la declaratoria rivendicata dal ricorrente (livello A) e quella propria della categoria di inquadramento (livello D), e rilevato che la pretesa verteva sulla riconducibilità alla qualifica superiore delle funzioni di garanzia previste dalla legge 81 del 2008, avendo il ricorrente ricoperto la carica di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) dell’unità organizzativa …..(funzione per la quale aveva rivendicato la promozione alla qualifica superiore ex art.2103 cod. civ.), la Corte di appello ha ritenuto la riconducibilità delle anzidette funzioni in quelle classificate contrattualmente come attività di studio, progettazione, pianificazione e attuazione operativa finalizzate al conseguimento degli “obiettivi aziendali”.”
Ciò sul presupposto che la sicurezza sul lavoro, costituisce un obiettivo non meramente strumentale, ma essenziale per l’azienda.”
A questo punto dunque, “esclusa quindi la riconducibilità della posizione del RSPP nell’alveo della declaratoria del livello D, la Corte di appello ha ritenuto che la posizione ricoperta in concreto fosse deducibile nel livello B, rispetto al quale il livello A è connotato da una differenza sostanzialmente quantitativa.
Il livello di competenza che deve avere l’RSPP
In conclusione, secondo la Cassazione “le competenze richieste al Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione ( RSPP) implicano lo studio dei rischi correlati a un determinato ambiente o a una determinata tipologia di lavoro e la ricerca volta alla indicazione delle soluzioni tecniche, realizzazione progetti e soluzioni per assicurare la sicurezza dei luoghi e delle prestazioni lavorative”, per cui “i soggetti cui è affidato il compito di valutare i rischi connessi all’attività lavorativa devono necessariamente possedere capacità, esperienze e conoscenze che esulano dalle ordinarie competenze affidate ad un lavoratore che espleta attività tecniche, ancorché connesse ad un elevato livello di esperienza e professionalità.”